SCRIVERE L'INFORMATICA
di Ennio Martignago


La scrittura informatica abita un territorio di confine. Nata sulla scorta dello stile espressivo di tradizione marcatamente manualistica, veniva inizialmente letta talvolta dagli addetti ai lavori e poi, sempre più frequentemente, dai possessori di software copiato1.
Le esigenze di quel tipo di utenza erano quelle di avere dei manuali il più completi, dettagliati, ancorché criptici. Poi venne la moda della rapidità di consultazione, nata dalle necessità dellutenza preparata, quella che, sapendo utilizzare quel genere di applicativi, aveva bisogno soltanto di sapere dove trovare il corrispettivo dei comandi e dei linguaggi noti in un altro pacchetto e da quelle dellutenza saltuaria, coloro, cioè che non avrebbero mai sfruttato interamente tutte le potenzialità del prodotto, ma che cercavano solo un sostituto alla macchina da scrivere o alla calcolatrice. Costoro, inoltre, non avevano intenzione di investire grosse cifre per i loro limitati e specifici obiettivi. Così venne lora degli instant book.
Accanto alla manualistica esisteva solamente la letteratura specialistica per operatori avanzati: testi sulle reti locali o sulle generazioni dei linguaggi di programmazione, e così via.
Improvvisamente anche il consumatore casuale, lutente domestico ha aperto le porte di casa al computer e ai suoi programmi. A sua volta si sono diffusi a dei prezzi proponibili programmi user friendly di buona qualità. Le riviste di informatica sono, una alla volta, diventate meno esoteriche e meno seduttive nei confronti dei fanatici del chip. Qualcuno sembra accorgersi che non è più sufficiente scrivere manuali, ma che è opportuno venire incontro al desiderio di un intrattenimento sulla materia informatica accessibile ai più.
L'idea di uninformatica facile e gradevole sembrava una bestemmia solo nel 92, ma già fra il 93 e il 94 questo genere di libri ha visto una diffusione che ha premiato le scelte di taluni autori e case editrici, come Stanley o Apogeo.
Non mancano fra questi lavori, tuttavia, i manuali dissimulati. Quali libri possono rientrare in questo genere e quali no, credo possa dipendere innanzitutto dallo stile con cui sono scritti. La scrittura più adeguata per il libro semplice è quella che sta al confine fra la narrativa e la saggistica divulgativa. La leggerezza e la capacità di non risultare offensivi nel semplificare fino allestremo sono le qualità migliori. Se un conoscitore di informatica e di software può trovare piacere nel leggere in un libro le cose che già conosce a memoria, allora quello può risultare un lavoro scritto bene, a condizione di risultare comprensibile anche a chi non ha - quasi - mai preso contatto con un elaboratore. Si badi bene a non sopravalutare, tuttavia le esigenze di questi lettori. Per molti leggere dinformatica deve servire solo da pretesto per poter affermare la fondatezza delle proprie idiosincrasie: non bisogna dimenticare che per i più il problema reale non è costituito dal conflitto logico con il comando del programma, ma dal rigetto fisico per la tastiera e per il suo contatto e la ricerca dei tasti. Molti degli anti-informatici sono prima di tutto degli anti-dattilografici e ancora invidiano il figlio che sa fare le somme con la calcolatrice trovata nel fustino del detersivo.
Quando però un libro è scritto male non ci devono essere scusanti. Un altro fatto interessante emerso è che questo tipo di letteratura, rispetto alla precedente manualistica, consente maggiormente lemergere di stili letterari personali, e quindi laffermarsi di veri e propri autori, per quanto negletti dalla letteratura2. E lo stile non può né devessere prescritto. Pertanto non sarò io a tentarlo. Tuttavia alcune regole mi sembrano indispensabili e generalizzabili.
1) Prima di tutto, fare bene gli esempi! La comprensione si favorisce con gli esempi e questi devono risultare organici fra loro e misurati sulle potenzialità del lettore-tipo (target). Il che non significa che bisogna mirare a ciò che è in grado di fare, ma solo partire da ciò che usualmente fa e chiede di saper ripetere con altri strumenti per arrivare a ciò che non sapeva neppure di poter fare, mostrandone la semplicità. Lesempio da costruirsi devessere possibilmente unitario, un lavoro che attraversi tutte le parti del libro, partendo da azioni banali e note a tutti per giungere a promuovere nel lettore lauto apprendimento. Per esempio, per spiegare luso di elaboratori di testi sarebbe bene partire da una lettera commerciale o un curriculum per arrivare alle macro, agli stili e allincorporazione di oggetti individuando da necessità precise (es.: insegnare il mail merging con le macro, prima di spiegare che esiste un comando di questo tipo già integrato, o la creazione di un foglio intestato con lincorporazione di un bitmap) e finire lasciando aperte delle domande che stimolino la consultazione della guida, oppure, ancora, lanciando sfide di abilità nella personalizzazione.
2) Non dare nulla per scontato e non saltare i passaggi logici.
Troppo spesso si danno per scontate nozioni che sembrano tali per gli addetti ai lavori, ma che per il comune parlante sono prive di senso. Pensate a quanto di anomali e innaturali sono i concetti di campo (magari field) e di record per una persona sana! Prima di spiegare come si fa una macro sarà bene partire dallesigenza di automatizzare delle azioni ripetitive. Solo se lo si valuta importante, si possono poi definire questi automatismi con il termine di macro. Prima di spiegare come si usa un foglio elettronico bisogna far cogliere la differenza fra questo e una calcolatrice.
3) Ricalcare le esperienze quotidiane e le frustrazioni di chi ha a che fare con il computer. Nel fare questo, cercare di usare gli occhi del neofita, della persona che lelaboratore lo usa saltuariamente di meno a quelli di colui che ne fa un uso sistematico per unattività ripetitiva, e meno che mai a quelli dellinnamorato o delladdetto ai lavori, che cala sul mondo incosciente la sua grande esperienza e la straordinaria sensibilità maturata in tutti questi anni. Se si usa il cervello, accettando la fatica di non usare il potere e le risorse conferite dalla cattedra, ci si potrà stupire di quante occasioni, dallenciclopedia alla minestra di cavoli, si possono usare per parlare di qualsiasi programma (la minestra di cavolo dal wp allo spreadsheet fino allo storyboard o al CAD e tutti insieme, interfacciati, linkati, impacchettati, ecc...).

Cultura informatica
Un lavoro che si sviluppa sul tema informatico deve fare i conti con delle evoluzioni in tempi troppo rapidi per potersi consentire unelaborazione simile ad altri tipi di testi. Molto deve rimanere incompiuto, ed un buon lavoro è spesso quello che mette gli altri in condizione di imparare adattivamente. Non ha senso insegnare tutto. Lidea di un futuro in perenne sviluppo della professionalità degli sviluppatori e dei programmatori si scontra con levoluzione dellhardware e delle reti, che sta rendendo possibile ai più luso di linguaggi di interrogazione semplici ed elastici sul modello dellSQL in sistemi client/server. Lo stesso dicasi per documenti ed archivi. Il concetto dei sistemi documentali ipertestuali uniforma interi sistemi informativi, banche dati e persino biblioteche, in un unico grande documento, consultabile nello stesso modo con cui ci si muove in un Web di Internet. Per questo la scrittura informatica deve fare i conti con la dimensione fisiologica del cambiamento, trasformandola da un limite ad una risorsa, e con la provvisorietà del testo che diviene il suo più potente elemento stilistico. Provvisorietà e incompletezza (che il lettore va a riempire) mi sembrano poter diventare il contributo più forte che la scrittura informatica può offrire alla letteratura e allespressione (alla poetica nel senso di Jackobson, più in generale) del nostro tempo.
Non si può tuttavia dire che i libri dedicati allinformatica semplice costituiscano un vero e proprio rivolgimento nel testo informatico. Neppure certi testi divulgativi, come Fare la tesi con il PC o Fare bene il manager con i computer ecc... possono essere considerati dei passi avanti verso una vera e propria apertura ad un pensiero ed una cultura informatica di rango. Il salto di valore lo possiamo scorgere negli ultimi due anni, da quando personaggi non sospetti ed estranei alla cultura tecnicista si stanno dedicando al significato sociale, psicologico, filosofico, giuridico, politico... delle implicazioni informatiche. Questo salto coincide con lesplosione inconsulta dalla telematica di Internet. Librerie solitamente ostiche al libro tecnico e, primo fra tutti, a quello informatico oggi riempiono intere vetrine di volumi alcuni dei quali assolutamente indigeribili dedicati alla madre di tutte le reti. Gente che ha sempre avuto seri problemi a fare un foglio di stile si cimenta con protocolli TCP/IP, driver Point to Point o Seriali, BAUD, link ipertestuali e protocolli di trasferimento dei files.
Nessuno avrebbe immaginato che una realtà così ostica, fino a ieri costituita di indirizzi chilometrici e di repellenti comandi UNIX, avrebbe potuto costituire la leva che cambiava le sorti di un sapere apparentemente destinato ai santa sanctorum, o ai postriboli, se si preferisce, di un gotha tecnocratico.
A pensarci bene, sarà proprio questa irruzione a segnare la fine dei computer così come li concepiamo. Solo qualche mese fa mi trovai a fare questa considerazione in una conferenza telematica nazionale suscitando diffidenza e sconcerto nei più. Ma non ero certo Jules Verne: Apple, che da sempre precorre i tempi, oggi sta preparando i non-computer (alcuni come Pipin, un potente computer mascherato da lettore di videogiochi, o come il decoder per la TV interativa, sono già realtà). Presto ci si collegherà al sistema telematico preferito senza pensare alo strumento che si sta adottando.
Ecco allora che il discorso telematico si fonde con quello urbanistico e la netiquette porta a riflettere sullesistenza di un'etica dellinformatica.
La tecnica e la cultura si stanno fondendo e presto la saggistica sarà pregna di concetti informatici e luso dellinformatica darà nuovi temi e nuovi ambiti per la conoscenza. Pensate ad esempio a come la medicina è passata da un piano tecnico ad uno culturale con quella che Illich ha chiamato la medicalizzazione della società e che Foucault ha ben analizzato ne La nascita della clinica oppure rievochiamo lormai consunto esempio della nascita della stampa a caratteri mobili. Laspetto più interessante di più di questultima non è quello tecnico, quanto piuttosto quello connesso alla sociologia della conoscenza. Guttemberg, che credeva sostanzialmente negli aspetti tecnici della sua invenzione, morì pieno di debiti. Non così Manuzio che applicò la scoperta al libro. Oggi a noi questo fatto può sembrare ovvio, tuttavia dovette sembrare un salto mortale nellepistemologia dellepoca la serialità della produzione e della diffusione di una cultura fino ad allora vista come patrimonio di pochi e il più delle volte consegnata al rapporto orale a due fra discepolo e insegnante. Altrettanto iniquo può sembrare ai più linquinamento della cultura con la tecnica informatica. Badate bene, non sto a parlare dellinformatica come strumento, ma come sistema semantico o come pretesto epistemologico. Un esempio di questi risvolti lo si può trovare nei libri dedicati alla logica Fuzzy o ai discorsi sulle interfacce, per non parlare del consunto tema della virtualità o meno della realtà. Paradossi come il cybersex, lontano dallessere interessanti per loggetto in sé, portano inquietudini sul rapporto fra fisica e coscienza. Un altro esempio di questa rivoluzione lo si ritrova nella discussione su identità femminile e governo del ciberspazio. Interessante è anche la strana questione di come viene interpretata lappropriazione dello spazio telematico da destra e da sinistra. Come spesso è accaduto, pur rivolgendosi a contesti e referenti diversi, il modo con cui si cerca di appropriarsi del media non è troppo dissimile. Lo è molto di più se confrontato con lepistemologia nomade degli hacker3, da un lato, e dallo spontaneismo dei BBS e delle reti amatoriali, dallaltro.

Nomadismo informatico
Eccoci con questo esempio giunti a quello che amo chiamare il nomadismo informatico, vale a dire quel rapporto spesso conflittuale che esiste in alcuni personaggi orfani di una tradizione culturale di stampo, vuoi tecnico, vuoi accademico, che usano linformatica e ne parlano facendo riferimento alla loro esperienza in prima persona.
Con questo pensiero nasce lidea di un ribaltamento ulteriore della scrittura informatica. La persona e il suo computer possono fare scrivere di filosofia, in modo simile a Jabes, che si dipingeva come luomo che viaggiava con un libro di piccolo formato (che era un po una metafora del sé), oppure di comunicazione, damore, di politica...
La dimensione uomo-elaboratore può fare riflettere, alla Valery o quasi-buddisticamente, al rapporto vivente con un metodo. Narrativa può nascere e avere luogo in spazi virtuali (e i lavori di Gibson e altri sono solo i primi esempi, ancora troppo deffetto, se confrontati con un possibile minimalismo stilistico offerto dal media).
Ciò che è ancora tutto da scoprire è la temperatura, gli spazi, i tempi possibili per una scrittura che nasca dalla speculazione intellettuale sul e con lo spazio e il tempo del proprio ordinateur. Oggi sembra che questi scenari siano ancora lontani dal profilarsi ancora lontani, ma, come questo micro universo ci insegna, ben poche delle nostre immaginazioni sono così ardite come il divenire della realtà.
NOTE:

1) I veri coloni della diffusione dell'informatica di massa. Questa perversione ha infatti diffuso lidea del software come oggetto di consumo, portandolo a dei prezzi abbordabili da tutti, da dieci a venti volte inferiori a quelli di tre anni fa, a fronte di una diffusione migliaia di volte superiore.

2) Sarebbe importante che le riviste del settore iniziassero a recensire questi testi prima per il loro valore letterario e poi per quello tecnico, così come sarebbe ora che alcuni di questi libri trovassero posto anche nelle pagine di periodici di recensione libraria dai più divulgativi (come Tuttolibri) ai più esigenti (come L'Indice).
3) Non pensiamo agli hacker sempre e solo come a dei&quotlullisti del secolo telematico. In realtà vi è molto più timore per i destini della telematica e rispetto per l'informatica fra questi ultimi che in tutta l'orbe dell'industria elettronica e informatica. Gli hacker in fondo sono l'ultimo esempio di idealisti romantici, solo a volte un po' balordi, del postmodernismo.


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