Ennio

Arianna 
 
Psicologie inconsuete
 
 
 
di Ennio Martignago
 
n. 0.1 Marzo 1997
 
 
Torna al menu principale


Romanticismo e Pragmatismo dell'anima

Quanti, per professione o per scelta, sono dediti all'ascolto dei problemi e del vissuto del prossimo sanno che la trasformazione di significato dell'idea di amore sta ingenerando nelle anime della nostra epoca un disorientamento aggravato dalla difficile, quando non proibitiva, possibilità di esplicitazione.
È difficile innanzitutto esplicitare il disagio stesso. In un mondo che sta vivendo dell'assimilazione di modelli («si fa così perché i miei idoli di riferimento fanno così»), ivere l'amore è cosa ovvia o tema da feuillettons per branchi adolescenziali o convitti tricologici (dal parrucchiere allo psicologo, è d'altronde noto il legame che esiste fra capelli e sesso). È in atto da più parti la banalizzazione della questione: ìsi sa, è storia soggetta ad alti e bassi; oggi ti diverti e domani ti dispiace, ma tanto sta tranquillo che dopodomani ti torni a divertire di nuovo (con qualcun altro, certo... basta sapersi adattare)î.
Un'altro tipo di banalizzazione è quella che riguarda il sesso. Cosa sporca o cosa pulita, è una più o meno sana ginnastica di emozioni: si fluttua fra l'igienistico e il pervertitismo. Nella storia sappiamo esserci stati non pochi periodi in cui la prostituzione, in tutte le sue forme, era certo più praticata delle pulizie domestiche e di ogni altra forma di commercio. In quei tempi l'uso erotico del corpo non meritava più attenzioni di qualunque altra attività di manovalanza.
Tuttavia il rapporto fra corpo, anima e amore ha radici molto remote. Di molto anteriore al Cantico dei Cantici, la storia di questo legame esprime il sentimento di donazione dell'esperienza terrestre, fisica, all'altro nel quale riconosciamo la nostra stessa immagine segreta, la componente divina che ci accomuna. Per questo l'unione profonda e intima è innanzitutto donazione di sé all'altro a suggellare il superamento della differenza e dell'alterità. Nel rispetto di questo sentimento ci si affida all'altro e ci si lascia andare a quest'unione. Quando questa si realizza si realizza una condizione superiore, si supera l'individualità terrena e si diventa Dio, pars pro toto. Non al plurale ("dei") come si dice nelle canzoni, ma al singolare ("Dio", l'unico), perché per la nostra coscienza quello dell'Unione è il senso ultimo del concetto di Dio. Ma perché questo passaggio deve avvenire tramite il corpo? Perché in questa manifestazione storica della mia coscienza, quell'io che è la mia esperienza va a coincidere con la storia del mio corpo, con quel difficile connubio con la materia che è la condizione di forma: il mio nome e cognome, il mio aspetto, il mio modo di atteggiarmi... Ne faccio dono a Dio e così sacralizzo questa forma, sacrificandola (rendendola cioé sacra). Mi annullo nell'altro e gli faccio dono del mio corpo, perché attraverso di esso dò libero accesso alle alchimie delle anime. Quando questa si dovesse realizzare si agitereberodei ricordi ancestrali, generati dal mutuo riconoscimento dei sé e dall'inconscio smascheramento dell'illusorietà dell'io di fronte al paradosso che il Mio Sé non è mio.
Donarsi all'altro è poca cosa se svuotato dal simbolo e dal rito profondo. Ma questo sarebbe a sua volta poco importante se si riferisse solo alla riuscita o meno dell'esperienza sessuale. Il fatto è che, se manco di realizzare queste nozze mistiche, quel laboratorio del sé che è la nostra anima ne risulta privato. Continua con altre persone (infinite altre), a cercare un connubio impossibile, perché non è tanto nella persona altra, quanto nella freschezza della disponibiltià e della vitalità emozionale e animica di entrambi il segreto, oltre che della sintonia, della reciproca donazione totale, il potere del gesto rituale e magico. Si sacrifica la forma per dare pace all'anima sollecitata da un sé bisognoso di ricordarsi e di riconoscersi (anche se in modo implicito e inconscio. Quando questo non avviene non ci si dà pace e l'anima si impoverisce e perde energia. Rimuovere la drammaticità dell'accoppiamento come rito significa rimuovere il potere dell'anima e costringere l'esperienza umana a trarre senso ultimo dalla propria stessa forma, il proprio risolversi in fatto e cosa. Separare l'amore dal sesso è operare una violenta truffa alla nostra sacralità, non consentire all'anima di coniugare il sé con l'esperienza.
Ecco ancora questo connubio farsi figlio, il terzo nel quale si risolve il riconoscimento evitato. «Non sono capace di sopravvivere ad una tale vista di unione, così lascio che diventi altro corpo ed altra esperienza, in modo da poterlo guardare senza accecarmi, senza venire terrorizzato, amando così, tramite lui, l'Amore. Per questo l'amor filiale è amore profondo, amore di Amore, amore di Dio, cura dell'anima. Ma, come l'amore e il sesso sono divenuti sano e innocente divertimento da mettere in mano ad adolescenti e al mercato, così i figli sono corpo ignoto, un fatto educativo o un oggetto sociale. Lo deleghiamo al mondo nel mentre che non siamo in grado di appropriarci dell'esperienza della loro esistenza, né di prendere le distanze dal senso di possesso e di attaccamento.
I bambini nelle fasi storiche della prostituzione sono sempre stati la prima forma di reificazione della persona umana. Oggi noi siamo vecchi: possiamo comprare bambini poveri nelle altre società e infilare fin da subito i mostri nella slot machine della macchina sociale.
Un pensiero pragmatico si contrappone ad uno idealistico, romantico: amore come esteriorità e divertente, sana ginnastica delle forme e delle emozioni; oppure come espressione di un sacro e della rinuncia ad identificarci nella nostra esperienza per sacrificarla al Sé, e quindi al Dio nascosto in noi? A ognuno di noi e al proprio sistema di credenza trovare una risposta, con una sola controindicazione, almeno in questa vita: ogni scelta determina le alternative a venire. La perdita della verginità non sta nell'imene, ma nell'anima. Di verginità ce n'è più di una, ma ognuna di queste influenzerà in modo irreversibile quel nostro modo di vedere il mondo che si chiama destino.
Se l'accoppiamento è, fra quelli più comuni, il surrogato più vicino al "fare sacro", alla replica rituale del dono di sé a Dio, volendo ritrovare quel sacro saremmo costretti a creare altri surrogati o a costruirli con rituali più complessi e meno quotidiani: quelli esoterici. Ecco perché l'uso del sesso è così collegato alle pratiche delle sette occulte che si moltiplicano ai nostri giorni, a mascherare (o esaltare) altre e più quotidiane perdite di valori. Forse stiamo assistendo all'inizio della fine della coppia, del congiungersi, del riprodursi... Sì, perché forse è possibile resistere a quella vista (per la stessa via o per altre pratiche) per generarsi in Dio (o nel Vuoto cosmico) o, se preferite, come un sé definitivamente consapevole dell'esperienza della forma. Quella che la coscienza forse non è in grado di portare via con se all'atto della morte, se non come vago ricordo che richiede di essere rinfrescato con una morte ed una rinascità. Tutto questo forse l'uomo di domani lo scoprirà, ma all'essere umano, troppo umano, di oggi, non rimane molto più che la confusione, la solitudine, il disorientamento e un'irrequieta arsura da sete di anima, da nostalgia di un bisogno rimosso, innominato ed innominabile.

Torna al menu principale

Questa pagina e' stata visitata volte.

Consultazione dei materiali precedenti